Close

In Camper alle isole Far Øer e in Islanda di Francesco e Daniela Bini

Far Øer e Islanda
di Francesco e Daniela Bini

Agosto-settembre 2006

LA PREPARAZIONE

La preparazione è iniziata con uno studio su internet di tutte le possibili informazioni reperibili, l’acquisto della guida, delle carte e dei libri.

Sono stati fondamentali i resoconti dei camperisti, che abbiamo letto e riletto fino alla noia.

Interessante il sito degli “amici dell’Islanda” ed il sito della transitabilità delle strade, che abbiamo consultato per tutto l’inverno, per curiosare sulle condizioni meteo e di traffico dell’isola.

Tutto questo studio ha aumentato l’attesa per il viaggio ed è risultato prezioso per la pianificazione dell’itinerario.

IL TRAGHETTO

Il traghetto è stato prenotato alla fine di marzo alla Agamare di Milano. Il passaggio A/R per il camper (7 metri) e due persone (cabina doppia) è costato 2.052 euro.

La nave Norrona è molto confortevole, silenziosa, stabile e priva di vibrazioni.

Ha un ristorante alla carta ed uno a buffet al ponti 6, un self-service al ponte 5 e vari bar. I prezzi sono normali per un traghetto.

La Smyril Line, la compagnia armatrice, è delle isole Far Oer e quindi a bordo viene usata la corona danese.

Tutte le cabine hanno un frigo e quindi non ci sono problemi se volete portarvi da mangiare e da bere.

IL MEZZO

La nostra autocaravan è un mansardato Rimor 677 TC con garage, su meccanica Ford Transit. In partenza ci sembrava il mezzo meno adatto a questo viaggio, soprattutto per le eccessive dimensioni (lunghezza 7,13 metri), il grande sbalzo posteriore e la prima marcia così lunga da rendere faticosa la partenza anche in piano.

Tra gli aspetti positivi la trazione posteriore gemellata e le molle ad aria posteriori.

Diciamo subito che ci ha portato dovunque fosse ragionevole (o quasi) andare, compreso le piste F35 e F208, sopportando senza problemi più di 700 km di sterrato, di cui molti assai duri.

Avevamo in garage uno scooter Honda Dylan 150.

Purtroppo questo mezzo, come ormai tutti i camper, ha la gestione dell’impianto elettrico affidata ad una centralina elettronica. A mio parere un sistema inutile, complicato ed inaffidabile per gestire un problema banale come il circuito elettrico di un camper.

Avendo avuto già due guasti nei due anni di vita del mezzo, ho fatto fare una modifica per poter terminare comunque il viaggio con i servizi essenziali.

Alcuni circuiti sono stati raddoppiati in modo da avere funzionanti il boiler, la pompa dell’acqua, la ricarica della batteria dei servizi e alcune luci, indipendentemente dall’elettronica.

La stufa Truma non necessita di alimentazione elettrica (per l’accensione c’è una pila e del ventila-tore si può fare a meno) ed il frigo può essere acceso con un fiammifero.

Questa modifica si è dimostrata inutile, perché ovviamente la centralina non si è guastata, ma ci ha permesso di viaggiare più tranquilli.

E’ una modifica di costo modesto, che consiglio a tutti: rimanere senz’acqua o senza luci a migliaia di km da casa, per il guasto di uno stupido ed inutile componente elettronico, può veramente rovi-nare una vacanza.

ATTREZZATURE E RIFORNIMENTI

Oltre alla nostra dotazione normale

• Una cassetta con chiavi e arnesi, tester e vari tipi di collanti e nastri

• Una tanica con 10 litri di gasolio

• 3 taniche da 10 litri per acqua (vuote)

• Una seconda cassetta WC

• Un filtro per il gasolio

• Due chilogrammi di olio per il motore

avevamo a bordo

• Catene da neve (mai utilizzate)

• Una bombola da 10 kg di gas (oltre alle due standard)(utilizzata)

• Circa 20 metri di cima molto robusta (mai utilizzata)

• Un filtro per l’aria

• Stivali di gomma (mai utilizzati)

• Sacchi a pelo (mai utilizzati)

GUIDE, CARTOGRAFIA E GPS

• Per la guida avevamo la guida Lonely Planet dell’Islanda, in italiano: la grafica è molto po-vera e la guida è più dedicata ai trasporti pubblici ed agli alberghi e ristoranti, che alle cose da vedere, ma alla fine è sufficiente.

• Le stampe dei reportage dei camperisti che ci hanno preceduto

• Atlante di Europa

• Atlante delle Far Oer, al 100.000, comprato ad un distributore sul posto

• una carta dell’Islanda al 700.000, reperita in Italia ed utile per la pianificazione generale

• l’eccellente “Island Vegaatlas” al 200.000, comprato prima della partenza, via internet

• Il GPS Garmin Streetpilot 2610, che purtroppo non ha cartografia particolareggiata dell’Islanda, ma solo quella generale. E’ stato comunque assai utile per il viaggio di avvicinamento a Hanstholm e, tutto considerato, anche alle Far Oer ed in Islanda

IL VIAGGIO

L’avvicinamento

Abbiamo impiegato 5 giorni da Pisa a Hanstholm, perché ci siamo fermati a visitare dei parenti in Germania.

In realtà 3 giorni sono più che sufficienti per i 2.000 km di viaggio, tutti in autostrada.

Il giorno dell’imbarco gironzoliamo pigramente sulla costa occidentale della Danimarca e guar-diamo incuriositi qualche folcloristico mezzo fuoristrada e qualche altro camper: vuoi vedere che tutti aspettano il traghetto?

La mattina abbiamo la nostra ora di panico: si è accesa la spia dell’olio! Stop immediato e controllo dell’olio, della coppa, del filtro. Tutto ok. Telefoniamo in Italia ad un amico meccanico, che fa qualche domanda di rito, ma non si scopre niente. Che fare? Poi finalmente la rivelazione: di che colore è la spia? Gialla. Ah, beh, allora non è niente: segnala che devi cambiare l’olio. Maledetta Ford! Mi devo tenere la spia accesa per tutto il viaggio? No, premi a fondo freno ed acceleratore, accendi il quadro e aspetta 30 secondi. Si è spenta? Sì, grazie mille. Niente, buon viaggio.

Le operazioni di imbarco sono molto semplici: ci si presenta direttamente sul porto con il camper e ci vengono consegnate le carte di imbarco e le chiavi magnetiche della cabina.

Nonostante la stagione avanzata (12 agosto) si imbarcano 94 camper, di cui circa la metà italiani. Siamo un po’ sconvolti da tutta questa gente: ma l’Islanda non era un posto solitario? In realtà ci da-remo pochissima noia.

A bordo c’è una fauna molto varia.

Un gregge di camper italiani segue un viaggio organizzato (“Ci si ferma tre giorni alle Far Oer? Ma dove sono? Io non ne sapevo niente!”).

Qualche bikers che si farà un bel giretto in bicicletta (li incontreremo nei posti più assurdi, dalle pi-ste dell’interno ai disperanti rettilinei dei deserti meridionali).

Parecchi fuoristrada di tutte le taglie e le fogge, più o meno artisticamente accessoriati.

Facciamo la prima conoscenza con mezzi inconsueti, come cellule montate su mezzi da cantiere, enormi e cattivissimi. Fanno un po’ sorridere a vederli per strada, ma quando ci incontreremo sulle piste dell’interno, rideranno loro.

Ci vergogniamo un po’ con il nostro camperone stile Lido di Iesolo e prendiamo una decisione: mai più senza due piastre da sabbia sui lati e due ruote tassellate sul tetto!

Le Far Oer

Dopo una notte, un giorno ed un’altra notte trascorsi in navigazione, arriviamo a Torshavn, la capitale delle Far Oer. Dobbiamo sbarcare tutti, perché la nave torna indietro alle Shetland ed in Norvegia e ci tor-nerà a prendere dopo quasi tre giorni.

Appena sbarcati, siamo ansiosi di seminare la massa dei camper ed infatti in poche ore siamo all’estremo nord di Vidoy.

In realtà incontreremo solo un camper ogni tanto e non ci siamo dati davvero noia.

Le isole si presentano verdissime e molto, molto gradevoli. Le case, piccole e coloratis-sime, sono tenute bene ed hanno un fascino molto nordico, almeno ai nostri occhi medi-terranei.

I nomi delle isole ci sembrano buffi (Streymoi, Kalsoy, Kunoy, Vidoy, Bordoy, Suduroy…). Che siano i nomi dei sette nani o delle renne di Babbo Natale in faroese?

Comunque ci innamoriamo subito di questi posti e cerchiamo di muoverci in punta di piedi, con il mas-simo rispetto.

Le strade sono molto buone e le varie isole sono quasi tutte collegate da brevi ponti o da tunnel sot-tomarini.

Sull’isola di Bordoy facciamo la prima conoscenza con le gallerie “one way”: sono budelli strettissimi e buissimi, lunghi anche più di due chilometri, dove lo scambio tra i due sensi di marcia deve avvenire in piazzole laterali, segnalate da grandi M. Al buio que-ste piazzole sembrano piccolissime, ma in realtà ci passano gli autotreni. Comunque la prima impres-sione non è delle più gradevoli, ma alla fine del viaggio ci avremo fatto l’abitudine.

I tunnel sottomarini sono a pagamento (circa 20 euro A/R) e sono senza controllo. C’è solo un laco-nico cartello che invita a pagare alla stazione di servizio. Punto e basta.

Girovaghiamo a caso per quasi tre giorni, prima con tempo incerto e poi sotto la pioggia.

La seconda notte ci fermiamo in una piazzola molto romantica a picco sul mare nel nord dell’isola di Vagar. Si scatena una burrasca con colpi di vento fortissimi che scendono dalle montagne. Il camper rolla in maniera impressionante, nonostante gli stabilizzatori calati. Passiamo una notte davvero brutta ed alle prime luci ci spostiamo di qualche chilometro per dormire qualche ora final-mente in pace.

Nonostante il brutto tempo, la pioggia ed il vento, l’esperienza faroese c’è piaciuta molto: queste isole verdi e ben tenute ci hanno davvero incantato.

Da Seydisfjordur a Hùsavik

Uscendo da Torshavn, la nave fa uno zig-zag tra le isole: davvero un bel colpo d’occhio finale sulle Far Oer.

Dopo un’altra notte in mare, avvistiamo l’Islanda in una sfolgo-rante mattinata di sole.

Tutti gli ospiti sono sul ponte superiore ad assaporare il momento a lungo sognato dell’avvicinamento e dell’arrivo.

Chiacchierando con gli altri equipaggi, scopriamo che la tassa di 100 dollari la settimana è stata abolita, ma il gasolio è salito a quasi un euro e mezzo al litro. Ci vengono anche con-fermati (ma ne eravamo già ben coscienti) i limiti di importa-zione sui cibi freschi e sugli alcolici. Siamo naturalmente un po’ fuori delle norme (ma non molto) e ci viene una crisi di co-scienza sul da farsi: nascondere qualcosa e rischiare una brutta figura subito al primo contatto con questo popolo, che tutti de-scrivono come naturalmente corretto, o dichiarare tutto?

Alla fine arriviamo al solito compromesso. Qualcosa viene im-boscato (il sottosella dello scooter è una specie di cantina clandestina) e qualcosa lasciato in bella vista per essere dichiarato.

Dopo mesi di programmazione, non abbiamo ancora deciso in quale senso fare il giro: facciamo una discreta inchiesta tra gli altri camperisti e sembra che la maggioranza lo faccia in senso orario. Facile decidere: noi lo faremo in senso antiorario.

Il fiordo di Seydisfjordur è uno dei più belli di tutta l’isola, verde e solitario, e l’entusiasmo sale.

Finalmente sbarchiamo e sul molo facciamo un po’ di confusione con le corsie. Visto che ci siamo messi di traverso, spostano dei coni spartitraffico e ci fanno uscire senza alcun controllo.

Benvenuti in Islanda!

Risaliamo la valle verso Egilsstadir e la Ring Road. Incontriamo le prime cascate, che ci sembrano belle e degne di una sosta. Quando le rivedremo al ritorno, dopo le centinaia incontrate in tutta l’isola, ci faranno un po’ sorridere.

A Egilsstadir tutti i camper celebrano il rito degli acquisti e del cambio dei soldi. C’è effettivamente qualche buon supermercato, dove troveremo del pesce fresco (incredibilmente difficile da trovare in Islanda) e faremo la conoscenza con il metodo islandese per tenere al fresco latticini e verdure: quello di refrigerare tutto il reparto. Si prendono dei tremendi colpi di freddo, ma in compenso le operazioni di scelta dei prodotti sono molto veloci!

I prezzi degli alimentari non sembrano così drammaticamente alti come ce li avevano descritti, mentre sono assai cari tutti gli alcolici, oltre che a porre qualche problema di approvvigionamento perché sono in vendita sono nei negozi specializzati (vin bud).

Dopo i rifornimenti attraversiamo il lungo (e poco attraente) lago di Logurinn e ci dirigiamo verso nord-ovest, sulla Ring Road. La strada è eccellente con lunghissimi rettilinei, disegnati su un vasto altopiano desertico, dove si può mantenere tranquillamente la massima velocità consentita (90 km/h). Però senza alcuna ragione logica apparente ogni tanto l’asfalto lascia il posto allo sterrato per 20 o 30 km. Sarà così per tutto il viaggio e ci abitueremo.

Lasciamo la Ring Road per la sterrata statale 864, che sale diritta verso nord, dentro il parco nazio-nale dello Jokullsargljufur, che contiene il grande canyon scavato dal fiume glaciale Jokulsà à Fjollum.

Superiamo i primi tratti di tole ondulé (se non sapete che cos’è, non vi preoccupate: appena ci met-tete sopra le ruote, lo capite subito!) e siamo al parcheggio sulla sponda orientale della cascata di Dettifoss. E’ la prima meta del giro dell’isola in senso antiorario e la troviamo un po’ affollata, con qualche piccolo problema di parcheggio. Non capiterà più per tutto il resto del viaggio.

E’ la maggiore cascata d’Europa per portata d’acqua, ma certamente non la più bella d’Islanda.

Molto bello è però il fiume glaciale che si è scavato un canyon ed ha dato origine a molte altre cascate. Proce-dendo verso nord sulla statale 864, dopo pochi km c’è una deviazione a sinistra che porta a un bel punto di osservazione. Continuiamo fino all’estremità setten-trionale del parco, dove troviamo la depressione di Asbyrgi. E’ uno strano posto, che ci ricorda le Latomie di Siracusa, specie nelle sua parte più interna, ma tutto considerato non vale tutto lo sterrato che ci siamo fatti.

Preseguiamo verso nord sulla 85 e tocchiamo il punto più settentrionale di tutto il viaggio, a pochi chilometri dal circolo polare (questo parallelo non taglia mai l’Islanda, ma solo l’isoletta di Grimsey).

Troviamo finalmente una bella piazzola sul mare, poche centinaia di metri a nord di Husavik, dove ci fermiamo per la notte.

Per essere stato il primo giorno in Islanda, ci siamo davvero guadagnati una bella dormita.

Hùsavik

Il mattino dopo, di buon’ora, tiriamo fuori lo scooter ed andiamo sul porto ad Husavik, per cercare un imbarco per l’inevitabile whale-watching. Scopriamo che è tutto prenotato per le prime uscite mattutine, ma poi facciamo conoscenza con un gruppo di italiani, che ci offrono gentilmente il po-sto di due loro amici che avevano rinunciato.

Usciamo nel bel fiordo di Husavik, con un mare ed un cielo mediterraneo. Non fosse per i nevai sulle montagne circostanti potremmo pensare di essere all’isola d’Elba.

Ci conquistiamo un posto strategico sul flying bridge e presto avvistiamo il primo soffio di una balena.

La barca sbanda ad ogni avvistamento per lo spostamento di tutti gli ospiti da un lato all’altro e gli avvistamenti si susseguono con un certo ritmo: niente di spettacolare, tipo salti fuori dell’acqua o code sventolanti in aria, ma per lo più semplici affioramenti di groppe di balene

Alla fine, con qualche aiutino, scopriamo un magico pulsante giallo che ci permette di acquistare la quantità che ci pare e poi pagare alla cassa. La maggior parte dei di-stributori è automatica e accetta solo carte di credito. Quindi attenzione: meglio avere 3 carte di credito che 2; senza carte di credito in Islanda siete morti.

amo verso sud, direzione la

a Reykjahlid, ritroviamo la Ring Road, giriamo a sinistra ed andiamo a visitare la zona vulcanica del Krafla. Saliamo, su u

poche decine di metri siamo alla bocca, perfettamente rotonda e facilmente percorribile per tutto il

suo perimetro. L’interno del cratere contiene un laghetto, ma le pareti sono scoscese e non si può scendere.

Torniamo indietro di un paio di chilometri, fino ad un altro parcheggio: da qui facciamo una lunga passeggiata in mezzo ai campi lavici del Leirhnjukur, ricchi di fumarole e pozze di acqua calda.

Decidiamo di tornare al parcheggio del Viti, dove pas-siamo la notte in compagnia di altri tre camper.

La mattina dopo torniamo verso il lago Myvatn. Par-cheggiamo sulla Ring Road e facciamo il giro del lago con lo scooter. Francamente non ci sembra un granché, ma comunque la giornata è bella, le sponde verdi, il lago azzurro e non si sta così male.

Passando da Reykjahlid, prenotiamo l’escursione all’Askja in bus per il giorno dopo (100 euro a testa). La pista F88 presenta 3 guadi e non ce la sentiamo di affrontarla in camper.

Forse, giudicando a posteriori, ce l’avremmo fatta anche con il camper, ma occorre considerare che l’abbiamo percorsa in condizioni ideali (sole, niente vento, poca acqua nei guadi, pista non invasa dalla sabbia). Razionalmente devo dire che è sconsigliabile provarci, almeno senza una robusta as-sistenza, ma certo è che questi posti sono di un fascino incredibile…

L’alternativa è noleggiare un SUV: chiedono 320 euro e, se siete in 4, vi conviene, oltre a fare un viaggio più veloce e più comodo.

Nel pomeriggio era programmato un bel riposo, ma le giornate sono lunghissime e dopo un po’ de-cidiamo di anticipare la visita a Godafoss: sono circa 80 km, tra andata e ritorno, e ce li faremo in scooter.

Askja

Per andare da Reykjahlid all’Askja bisogna seguire la Ring Road per circa 30 km verso est, poi se-guire la F88 per circa 80 km, poi la F910 per altri 13 km fino al rifugio Dreki ed infine la F894 per gli ultimi 8 chilometri (in giallo sulla carta).

Il viaggio dura quattro o cinque ore su un robusto, ma lento, autobus 4×4. La pista è stretta e piena di curve, ma i posti attraversati valgono certamente tutta la fatica e gli scossoni. Si attraversano pa-norami diversi, dal deserto di sabbia nera, alle rive del grande fiume glaciale Jokulsà à Fjollum (che è quello che forma, molti chilometri più a valle, la cascata di Dettifoss), a grandi campi lavici. Si fa una sosta al rifugio Herdubreidarlindir, in mezzo ad un’oasi verde alle pendici del Herdubreid, una strana montagna isolata, dalla forma incredibilmente simmetrica, che domina per decine di chilometri il deserto circostante.

Arrivati finalmente al parcheggio, a quota 1.000 metri circa, si prosegue a piedi su un vastissimo altopiano. E’ una camminata di qualche chilometro su un mare di sabbia nera, liscia ed elastica sotto i piedi in modo irreale. Tutto intorno alte vette innevate sotto un cielo azzurrissimo. Nonostante l’altezza e la latitu-dine, fa caldo e sudiamo abbondantemente.

Cammina cammina, si arriva alla caldera dell’Askja. Questa grande depressione, oggi occupata da un bel lago di 50 kmq, si è creata pochissimi anni fa (1875) in seguito ad una grande eruzione e successivo crollo della

volta centrale che si era creata.

Tangente al grande lago, vi è il piccolo cratere del Viti, contenente un laghetto di acqua tiepida, dove si può fare il bagno.

E’ un luogo assolutamente unico, magico, probabilmente il più bello di tutto il viaggio. Non verrei mai via e mi giro continuamente indietro, per una promessa “Io, qui, ci devo tornare”.

Akureyri

Tornati al camper, passiamo la notte in una piazzola a nord-ovest del lago Myvatn. Quando, la mat-tina successiva guardiamo fuori, vediamo un ranger che ci sta girando intorno. Scendo a vedere e ci dice, molto educatamente, che siamo in area protetta e non vi è consentito dormire. A parte che sulle nostre carte (del 2006) il parco non è segnato, non si capisce che danni avremmo potuto fare. Comunque ci dispiace aver infranto le leggi di questo paese ospitale. Il ranger si segna la targa e ci minaccia di farci una multa la prossima volta. Sorry, good morning.

Comunque questo è un problema in tutta l’Islanda. Si può passare la notte dovunque, salvo che nei parchi nazionali, dove è obbligatorio entrare nei campeggi. Il problema è che non sempre è facile sapere se siamo dentro un parco oppure no: sarebbe così difficile mettere qualche cartello “no over-night”?

Avvistiamo Akureyri al di là del suo fiordo in una mattinata luminosissima.

Ci fermiamo in un centro commerciale ed al nostro ritorno il motore non va in moto. La batteria è morta. Nella disgrazia abbiamo avuto una fortuna incredibile: in un paese così poco abitato, la bat-teria ci ha fatto la cortesia di schiantarsi in mezzo a ben tre distributori! Al terzo ne troviamo una adatta. Ci rapinano (188 euro per una batteria di 70 Ah), ma in compenso ci assicurano che è “very strong”! Questi vichinghi avranno anche svitato le corna dall’elmo, ma le tengono a portata di mano nel primo cassetto!

Akureyri sarà anche la città più bella di Islanda, ma a noi dice poco e la lasciamo presto per andare (SS82) a passare la notte sul porto di Dalvik.

Siglufjordur

La mattina dopo il sole è ancora splendente e la cosa ci preoccupa un po’: siamo al nostro sesto giorno in Islanda e non abbiamo ancora visto una nuvola o un filo di vento! Comunque finché dura…

Seguendo sempre la SS82, attraversiamo una bella vallata verde e siamo al Mar Glaciale Artico, che costeggiamo fino a Siglufjordur, un bel paesino in fondo ad un piccolo fiordo, una volta capitale della pesca e della lavora-zione dell’aringa.

Fiordi nord-occidentali

Torniamo indietro e ci accingiamo al lungo trasferimento verso i fiordi nord-occidentali.

Seguiamo la SS76, la SS75, la SS744 (fondo sterrato pessimo, per lavori in corso), la SS74 fino a ritrovare la Ring Road a Blonduos. La strada è eccellente fino a Brù, poi risaliamo il lungo Hru-tfjordur sulla 61 (a tratti sterrata) che non lasceremo più fino a Isafjordur. A Holmavik facciamo l’ultimo rifornimento e poi attraversiamo fino all’Isafjardardjup, il più profondo dei fiordi occi-dentali.

Qui arrivati, ci fermiamo per la notte in riva al mare, nelle vicinanze di un pontile per traghetti, dall’aria un po’ abbandonata.

Pioviscola ed accogliamo la pioggia quasi con sollievo. Dopo tanti giorni di sole, ci accorgiamo che eravamo un po’ ansiosi che il tempo potesse peggiorare. Adesso che è peggiorato, siamo più tran-quilli: finalmente possiamo sperare in un miglioramento! Tortuosità del cervello umano…

Arrivare a Isafjordur è un esercizio di pazienza, dovendo circumnavigare cinque fiordi profondi. Ma il panorama è bello, la strada è buona (salvo un primo tratto di sterrato), veloce e deserta (incontre-remo non più di quindici macchine in 200 km) ed il viaggio scorre piacevolmente.

Siamo veramente lontani da tutto (almeno per il nostro metro italiano) e quando incontriamo delle piccole fattorie annidate in fondo ai fiordi ci chiediamo come vivano e di che cosa.

Daniela in particolare è sconvolta dalla lontananza dei supermercati e progettiamo strane spedizioni per i rifornimenti, con pick-up attrezzati di congelatori. Chissà se faranno davvero così! Dopo qual-che settimana, imbottigliati nel traffico e circondati da tutti i problemi di casa nostra, avremo modo di ripensare spesso con nostalgia alla serena vita di questi luoghi sperduti.

I chilometri ed i fiordi scorrono veloci ed arriviamo a Isafjordur, la capitale del nord-ovest, distesa su una lingua sabbiosa in mezzo all’ennesimo fiordo. Il cielo è basso e piove piano. La cittadina non ha molto da offrire, a parte la bellezza dei luoghi circostanti. Gironzoliamo un po’ per il porto pe-schereccio e nella via principale. Il freddo e l’umidità ci spingono a comprare una bottiglia di

brennivin, la tipica bevanda islandese. E’ una specie di grappa di patate, che troviamo quasi imbe-vibile ed infatti durerà fino a casa.

Visitiamo il piccolo museo del mare, con numerosi oggetti legati alla storia baleniera della città. In particolare ci piace un filmato, dal ritmo un po’ lento, che ricostruisce la giornata dei pescatori di una volta. Sono soprattutto i panorami invernali a colpirci. In effetti, è già da qualche giorno che ci chiediamo come si trasformano questi luoghi con la neve. Probabilmente a fine aprile sarebbe bel-lissimo, con le giornate già lunghe e le montagne innevate. Le piste riaprono verso il 20 giugno e quindi tutto l’interno sarebbe irraggiungibile (ma organizzarono escursioni in motoslitta…), ma i panorami devono essere incredibili.

Considerato che le giornate sono lunghe e che a Isafjordur non c’è poi molto da vedere, riprendiamo il viaggio con prua a sud.

Passata una galleria a senso unico di ben 6 km e con un incrocio al centro, ricominciamo ad attra-versare promontori e aggirare fiordi, spesso su ripide strade fangose, che ci tingono tutto il camper di rosso. In salita non abbiamo problemi, ma in discesa la prima non è sufficiente a controllare la velocità e talvolta dobbiamo ricorrere ai freni.

I panorami sono sempre molto belli e solitari, con i neri della lava ed i verdi dell’erba che striano le montagne e l’incredibile verde fosforescente dei muschi a macchiare la lava nei punti più alti della strada.

Dinjandi e Latrabjarg

Arriviamo a sera alla bella e poco conosciuta cascata di Dynjandi e ci fermiamo nell’ampio par-cheggio a dormire. E’ stata una lunga giornata.

Dopo esserci arrampicati lungo la cascata per le foto di rito, proseguiamo lungo la 60 e dopo pochi km svoltiamo a destra sulla 63 in direzione dello sperduto villaggio di Patreksfjordur. Dopo pranzo proseguiamo verso la penisola di Latrabjarg. La 612 è praticamente tutta sterrata e in condizioni tra discrete e cattive. Sono 46 km da percorrere con molta calma (un primo assaggio delle piste cen-trali, ma allora non lo sapevamo) tra immensi panorami marini e fattorie isolate (queste davvero isolate, anche per i parametri islandesi!).

Arriviamo nel pomeriggio al parcheggio del faro di Bjargtangar, che segna il punto più occidentale di Europa, a meno di 200 miglia dalla Groenlandia. Certo che se ci fosse un traghetto…

Questo punto è famoso per gli uccelli marini, e i pulcinella di mare in primis, che hanno il nido su queste alte, magnifi-che scogliere e che rientrano a sera dopo una giornata tra-scorsa in mare.

Camminiamo lungo il ciglio di questi impressionanti dirupi, armati di pazienza e di teleobiettivi e cavalletti. Aspettiamo fiduciosi il rientro dei pulcinella, ma vediamo solo uccelli bianchi e neri. Nella nostra abissale ignoranza ornitologica, li classifichiamo come “gabbianacci” e “corvacci”, ma ma-gari sono rarissimi esemplari endemici di chissà quale spe-cie.

Intanto si fa buio e di pulcinella di mare nemmeno l’ombra. E’ il 25 di agosto e finalmente ci assale il dubbio che sia tutti migrati!

Pazienza. Comunque il posto è molto bello, trascorriamo una notte tranquillissima con la sola com-pagnia della luce del faro e la mattina dopo ci consoliamo un po’ con una famiglia di foche, che giocano nel mare sottostante.

Snafellnes

Ripercorriamo a ritroso i nostri 46 km di sterrato, poi allunghiamo il passo per cercare di prendere il traghetto delle 12.30 per Stykkisholmur nella penisola di Snafellnes. Il traghetto Baldur (100 euro) ci consente di sostituire un lunghissimo giro, su strada per lo più sterrata, con una piacevole crociera di 3 ore scarse.

Imbarcati senza formalità, facciamo uno slalom in un arcipelago di bassi fondali e piatte isolette (pare che siano 2700, ma la verifica del numero è ancora in atto), di cui una, Flatey, è abitata da al-meno 1.000 anni. E’ incredibile che nella deserta Islanda qualcuno abbia voglia di isolarsi ulterior-mente!

Sbarcati a Stykkisholmur, iniziamo il giro antiorario della penisola, tra panorami bellissimi di montagne verdi e fiordi azzurri. Veramente uno dei più bei posti di Islanda.

Aggiriamo il vulcano Snafell, con la sua calotta di ghiaccio, ma purtroppo il cielo grigio e le nuvole sfumano molto il profilo della montagna.

Arriviamo nel pomeriggio a Arnastapi, con la speranza di prenotare un’escursione sul ghiacciaio con le motoslitte o i gatti, per la mattina seguente.

Parcheggiamo vicino al piccolo porto, tiriamo giù lo scooter e andiamo in giro per studiare la situa-zione. Arriviamo alla pista F570, che attraversa la penisola verso nord e che costituisce la strada di avvicinamento al ghiacciaio.

Qui un cartello, impietosamente chiaro, avverte che il ghiacciaio è impraticabile e pericoloso a causa dei crepacci aperti. Addio gita in motoslitta!

Andiamo un po’ avanti per vedere “che cosa c’è dietro la curva” e così, curva dietro curva, ci tro-viamo al passo, dove la pista si allarga in un grande piazzale. Le lingue del ghiacciaio sono vicinis-sime, ma purtroppo il tempo brutto rende tutto piatto e senza contrasto. La pista F570 è comunque tenuta bene e sicuramente percorribile da un camper.

Il giorno dopo è giornata di trasferimento. Scendiamo fino a Borganes per poi risalire la Ring Road fino a Blonduos, per prepararsi alla traversata da nord a sud sulla F35.

Piove, le nubi sono bassissime e con loro il nostro morale: se domani il tempo continuerà così, che cosa facciamo?

Parcheggiamo in un distributore, facciamo il pieno di acqua e gasolio ed andiamo a letto sotto una pioggerellina sottile.

La pista F35 Kjolur

Il giorno dopo c’è il sole! Via veloci!

Seguiamo la Ring Road verso sud-est per una trentina di chilometri, poi giriamo a destra sulla 733, attraversiamo un ponte, pochi chi-lometri di 732 e siamo sulla F35, la pista del Kjolur.

Andiamo diritti verso sud attraverso una re-gione di laghi, su una strada sterrata, ma in ot-time condizioni. Siamo sempre in quinta a 60-70 km orari e la prima metà del viaggio passa in un attimo, in un panorama vastissimo, ma un po’ monotono.

La metà della pista è segnata dal bel rifugio di Hveravellir, che si raggiunge con un breve de-

viazione su una pista molto dissestata.

Siamo il solo camper, ma ci sono diversi fuoristrada, un paio di autobus e di moto, una montain bike e qualche mezzo fuoristrada, difficile da classificare, ma dall’aria irrimediabilmente artigia-nale. Sette o otto tendine sono montate su un prato.

Vicinissimo al rifugio diverse sorgenti calde fumano energicamente. In una pozza si può fare il ba-gno, ma è piccolina ed affollata. Rabbrividiamo un po’ a vedere i bagnanti uscire dalla vasca in co-stume nell’aria fresca dei 600 metri, con i ghiacciai tutt’intorno, non tanto lontani.

Considerata la velocità della prima metà della traversata, non abbiamo fretta, mangiamo al calduc-cio nel camper e ci godiamo il paesaggio.

Siamo praticamente al centro dell’Islanda, il posto è di grande fascino e siamo molto soddisfatti di essere arrivati fin quassù. In realtà non ci è voluto molto, è bastato trovare il coraggio di provarci!

Verso le 3 del pomeriggio gli autobus ed i fuoristrada ripartono e l’ambiente riprende un carattere più “islandese”.

E’ il momento giusto per un bagno. L’acqua è anche troppo calda e scopriamo dov’era il trucco: dopo un po’ di ammollo, si è talmente surriscaldati, che si può affrontare in costume e ciabatte il vento freddo e percorrere senza eroismi i cento metri che ci separano dal camper.

Ripartiamo, ma purtroppo la strada è molto peggiorata. Non riusciamo a fare più di 20 km/h, ma siamo venuti quassù per vedere questi posti e non c’è motivo di perdere la pazienza.

Mi piacerebbe passare la notte sul lago Hvitarvatn, dove si getta un ramo del ghiacciaio Langjokull. La strada più corta, provenendo da nord, è sbarrata da un guado. Ci proviamo ugualmente, ma un cartello ci ricorda tutte le disgrazie che possono capitare ad un mezzo a due ruote motrici, ci sco-raggiamo e torniamo sulla pista principale.

C’è un’altra pista, molto più lunga, da sud. Ci proviamo cocciutamente, ma il fondo è molto brutto (anche rispetto a quello, già bruttissimo, della parte meridionale della F35), siamo stanchi di buche e accostiamo da una parte per la notte. Pazienza, il lago ed il ghiacciaio lo vediamo lo stesso, anche se da un po’ più lontano.

Siamo davvero soli in mezzo al nulla dell’Islanda centrale, ma ormai siamo abituati alle notti solita-rie.

La mattina facciamo inversione, spostando dei sassi e stando bene attenti a non insabbiarci, e ri-prendiamo la nostra lenta marcia verso sud.

Dopo altri 25 km di buche, finalmente l’asfalto ci dice che la traversata è cosa fatta. Non è stata af-fatto una grande impresa (in pratica è stato sufficiente andare piano, a volte molto piano), ma siamo ugualmente soddisfatti.

Dopo tanta solitudine ci aspettano tappe molto turistiche, dove ritroveremo autobus, camper e turi-sti. Ma siamo al 28 di agosto, la stagione turistica sta per finire e troveremo pochissima gente.

Gullfoss, Geyser e Pingvellir

La prima sosta è alla cascata di Gullfoss, molto bella e godibile da più punti, grazie a passerelle e camminamenti.

Dopo pochi chilometri Geyser con il suo geiser attivo, chiamato Strokkur. L’area è recintata e ben tenuta, ma l’ingresso è gratuito, come per tutte le altre attrattive islandesi.

I getti si susseguono regolarmente ogni 7/8 minuti e ci di-vertiamo a cercare di fotografare gli attimi caratteristici del fenomeno: la creazione della bolla ed il getto.

Il geyser è circondato dai turisti (non moltissimi, per la ve-rità) tutti con l’occhio incollato alla macchina fotografica. In particolare i bambini non vorrebbero mai venir via, ma anche noi ci divertiamo e vediamo un bel numero di getti.

Proseguiamo per Pingvellir, dove siamo completamente soli. Il posto è gradevole, ma l’affioramento della fossa tettonica che divide la placca americana da quella eurasia-tica non è particolarmente vistoso.

Proseguiamo e ci perdiamo lungo la sponda occidentale Pingvallavatn, il più grande lago di Islanda, senza trovare dove dormire. Arriviamo alla grande centrale geotermica di Nesjavellir, nell’angolo sud-ovest del lago, e seguiamo la 435 per Reykjavik. Così attraversiamo, per puro caso, una zona magnifica di erte colline vulcaniche, nerissime di lava e verdissime di prati, di cui non c’è traccia sulle guide e di cui non avevamo mai sentito parlare.

Finite le colline, la 435 attraversa con un unico rettilineo una vasta pianura digradante verso il mare ed è costantemente affiancata da una grossa tubatura, che porta l’acqua di condensa della centrale alla capitale.

Reykjavik

Arriviamo a Reykjavik alle prime ombre della sera e la città ci appare caotica, con le sue trafficate tangenziali. Ci siamo forse già dimenticati il traffico di casa nostra? Ci accontentiamo, per la notte, di uno squallido, rumoroso parcheggio di un supermercato. Se pensiamo che solo la notte prece-dente eravamo sul lago Hvitarvatn, nella splendida solitudine dell’Islanda centrale…

La mattina seguente cerchiamo un parcheggio più tranquillo, che troviamo in una via residenziale vicino all’aeroporto, e con lo scooter andiamo in centro. Un freddo vento settentrionale ha spazzato via ogni nuvola e la giornata è limpidissima.

Giriamo un po’ per le via centrali, saliamo sul pinnacolo della Hallgrimskirkja (sul cui giudizio estetico non riusciamo a metterci d’accordo), guardiamo con sufficienza la statua di Leifur Eiriksson, che scoprì l’America 500 anni prima di Colombo (sarà vero? E, anche se è vero, che con-seguenze storiche ha prodotto?), scendiamo al laghetto Tjorn, con il municipio moderno di cemento e lava ed il vicino Alpingi (parlamento), un po’ triste con la sua facciata di pietra nera. I negozi

sono un po’ miseri e con prodotti, specie di vestiario, ben lontani dal nostro gusto di italiani (ma si farebbe prima a dire brutti).

Reykjavik è un miscuglio di basse casette di legno e lamiera colorata e di velleitarie costruzioni moderne: ne riportiamo l’impressione di una città probabilmente piacevole per viverci, ma non pro-priamente bella.

Andiamo a dormire nel grande parcheggio della Laguna Blu, dove siamo di nuovo quasi soli. Il vento è ancora forte e nella notte registreremo la temperatura più bassa di tutto il viaggio: 1.5°C.

La laguna blu

La Laguna Blu (blaa Lonid) è una vasca artificiale di acqua di mare, pompata in profondità per ri-scaldarla, sfruttata nella vicina centrale geotermica ed infine usata per la balneazione.

Si tratta della più bieca attrazione turistica di tutta l’Islanda, ma questo non le impedisce di essere molto ben organizzata e piacevole, anche se non ha certo il fascino delle sorgenti calde di monta-gna.

Landmannalaugar

Dopo il doveroso ammollo, torniamo a Reykjavik e allunghiamo il passo sulla Ring Road, verso est.

La metà di questa sera è decisamente ambiziosa; Landmannalaugar, un mito dell’interno dell’Islanda.

La strada è lunga e soprattutto l’ultimo tratto, la pista F208, è un’incognita.

Quindici chilometri dopo Selfoss, giriamo a sinistra sulla 30, poi la 32 e infine la F26, che in questo tratto è asfaltata. Sono tutte strade di fondo valle, veloci e, naturalmente, del tutto prive di traffico.

Fatto l’ultimo rifornimento, tiriamo un respiro profondo e giriamo a destra sulla F208: il dado è tratto, si va.

A parte il fondo cattivo, con molti tratti di tole ondulé, la pista non presenta particolari difficoltà; Solamente per qualche centinaio di metri troviamo la sabbia, ma, con un po’ di decisione, riusciamo a galleggiare e passiamo. Credo che la sabbia possa essere l’unico problema per un camper, in caso di vento forte.

Ma il vero problema per noi è stato decidere di andare: le notizie sulla percorribilità della pista, con un camper, erano incerte ed è occorso un atto di coraggio. Per tutto il tragitto il dubbio e l’ansia ci opprimono: ce la faremo? Non ce la faremo?

Comunque questi sono i posti per cui vale la pena andare in Islanda!

Dopo i soliti (a tutto si fa l’abitudine!) deserti sabbiosi, campi di lava, laghi e fiumi glaciali finalmente arriviamo.

Sono solo 32 km, ma sono occorse quasi 2 ore per percor-rerli.

Sorpresina finale: un guado, non segnalato sul nostro ot-timo atlante, ci impedisce di arrivare al rifugio! Ma siamo a poche centinaia di metri, ci sono comode passerelle pe-donali e ampio posto per parcheggiare.

Siamo stanchi, ma il posto è incantevole e noi siamo più che soddisfatti: è proprio la sera giusta per tirare il collo all’ultima bottiglia di Ferrari! Buona notte.

Passiamo la giornata ad esplorare la zona, il rifugio, le sorgenti calde (altro ottimo bagno) e il fiume. Siamo a 600 metri, in un fondovalle circondato da monti di tutti i colori, con le cime inne-vate. Con un mezzo fuoristrada sarebbe da passarci l’estate…

Purtroppo, per motivi familiari, non possiamo stare troppo tempo lontani dal telefono e qui non c’è copertura. Dobbiamo tornare, ma ci dispiace. Ogni cento metri ci fermiamo per l’”ultima fotogra-fia”…

Il tempo cambia e comincia una pioggia sottile. Seguiamo la F26, in parte sterrata, fino alla Ring Road, poi giriamo a sinistra verso Vik.

La cascata Skogafoss e Vik

Lungo la strada troviamo la cascate di Skogafoss, ben visibile e facilmente accessibile dalla Ring Road. Siamo i soli turisti e cerchiamo di avvicinarci il più possibile per una foto ed una ripresa d’effetto, con il solo risultato di rompere un ombrello e bagnarci tutti.

In serata arriviamo a Vik e sostiamo in un anonimo parcheggio di un distributore.

La mattina si presenta bellissima e facciamo una passeggiata sulla vicina spiaggia (al solito deserta). Poi torniamo indietro di qualche chilometro e deviamo per Reynisfjara.

La spiaggia è bellissima, lunga una decina di chilometri tra i vicini basalti colonnari e i lontani fara-glioni di Reynisdrangur, più a ovest. Verso nord i grandi ghiacciai incappucciano le montagne.

Nonostante l’affollamento (c’è, infatti, anche una famigliola di tedeschi, che però se ne vanno pre-sto), si sta benissimo e mi arrischio a fare il bagno, più per scommessa che per altro. Comunque la temperatura dell’acqua è come in Mediterraneo all’inizio di maggio.

Riprendiamo il viaggio verso est, prima sotto un cielo nuovamente nuvoloso e poi sotto una pioggia sottile.

Percorriamo lunghissimi rettilinei attraverso i vari deserti meridionali, i sandur, prima di lava rico-perta di muschi colorati e poi di sabbia nera. Spesso attraversiamo larghi fiumi glaciali, che si divi-dono in mille rami, dando origine a grandi delta.

A metà di un rettilineo senza fine incontriamo una coppia in bicicletta, che pedala sotto la pioggia. Ci vuole davvero passione! Ci viene voglia di fermarci per offrire un passaggio, ma poi ci chie-diamo: perché togliere loro il divertimento?

Alla nostra sinistra si fa sempre più vicino il grandissimo ghiacciaio del Vatnajokull, il terzo del mondo per estensione, dopo l’Antartide e la Groenlandia. I rami vallivi scendono molto vicino alla Ring Road, tutti segnati da grandi crepacci.

I ghiacciai islandesi sono calotte di ghiaccio, ben diversi (e molto meno spettacolari) dai ghiacciai alpini, la cui bellezza è data dal connubio con le cime circostanti.

Ci fermiamo incuriositi in una piazzola che è circondata da un’infinità di mucchietti di sassi. Un cartello ci spiega che un’usanza locale vuole che il viaggiatore, che passi di qui per la prima volta, deve aggiungere una pietra. Anzi l’amministrazione del luogo fornisce anche le pietre necessarie. Noi però queste pietre graziosamente offerte non le abbiamo trovate ed, incredibilmente, in un’isola di lava, abbiamo dovuto cercare per trovare la nostra pietra!

Del resto, con tutti gli gnomi e i troll che ci sono in giro in Islanda, non potevamo certo sfidare la fortuna!

Il parco di Skaftafell

Proseguiamo fino al parco di Skaftafell e qui ci fermiamo per la notte nel grandissimo campeggio, che è praticamente deserto. Pare che in stagione questo sia un luogo affollatissimo.

La mattina andiamo a vedere uno dei rami del Vatnajokull che arriva a poco più di un chilometro dal campeggio. Cartelli ci avvertono di fare attenzione per pericolo di sabbie mobili e ci avvici-niamo con prudenza. Il ghiaccio è tutto grigio per la sabbia nera del sandur portata dal vento e, tutto considerato, lo spettacolo non è particolarmente entusiasmante.

Subito dopo andiamo verso la cascata di Svartifoss. E’ una cascata piccola, ma molto bella (a nostro parere la più bella d’Islanda), perché il salto avviene in una depressione circondata da grandi colonne esago-nali di basalto. Parte di queste colonne sono crollate e formano un letto di prismi, incredibilmente regolari. Il dente da dove cade l’acqua è aggettante ed è possibile andare dietro la cascata, senza bagnarsi affatto. Inutile dire che foto e riprese da dietro la cascata si sprecano.

Nel pomeriggio il tempo peggiora e il programma di andare un po’ in giro sul sandur salta.

Sarà un pomeriggio di riposo in camper.

Jokulsarlon

La prossima tappa sarà anche l’ultima delle località turistiche: la laguna di Jokulsarlon.

Prima però cerchiamo la laguna Breidarlon, che la guida ci dice più solitaria, ma ugualmente in-gombra di ghiacci. Fatichiamo un po’ a tro-vare il bivio (non segnalato), poi percorriamo 4 km di tole ondulé e arriviamo alla laguna: per essere solitaria è solitaria, ma purtroppo di iceberg nemmeno l’ombra. Comunque le co-ordinate del bivio sono 64° 02.3 N e 16° 16.5 W.

Tornati alla Ring Road, passiamo il ponte so-speso e siamo alla Jokulsarlon.

Forse siamo un po’ stanchi di bei posti, forse il ricordo dell’inarrivabile lago Argentino è ancora troppo vivo, forse il tempo bigio ci de-prime, forse sentiamo vicina la fine del viag-gio, ma il lago non ci impressiona troppo e non ci viene nessuna voglia di farci un giro con i mezzi anfibi.

Restiamo comunque a lungo a guardare i colori e i movimenti capricciosi dei ghiacci, i giochi di numerose foche e il volo di tanti uccelli acquatici.

I fiordi sud-orientali

Riprendiamo il cammino verso i fiordi sud-orientali, ma purtroppo il tempo si è decisamente gua-stato. Le nubi sono basse, piove e spesso c’è anche la nebbia. Praticamente attraversiamo per due giorni i fiordi senza vederli, ma non devono essere affatto brutti. L’ultima sera in Islanda siamo a Reydarfjordur e ci concediamo una cena al ristorante, l’unica di tutto il viaggio: ottimi gamberetti, vino australiano, gelato e rapina finale…

L’ultimo giorno non ci resta che fermarci a Egilsstardir per gli ultimi rifornimenti, fare un giro a Siglufjordur e imbarcarci.

Una volta in mare, rimaniamo a lungo a poppa guardare sparire il profilo dei monti nelle brume del crepuscolo.

E’ stato un bellissimo viaggio.

Faremo di nuovo tappa alle Far Oer, dove avremo il tempo per una piacevole passeggiata nel centro di Torshavn, ed a Bergen, dove la sosta sarà troppo breve per scendere a terra, ma sufficiente per apprezzare dalla nave la bellezza della città e dei suoi dintorni, nono-stante la pioggia e la nebbia.

Senza storia il rientro in Italia, in due giorni e mezzo di autostrade.

La nostra personalissima classifica dei posti visitati.

Di eccezionale interesse

Di grande interesse

Interessante

Poco interessante

Askja

Svartifoss

Dinjandi

centri abitati

Landmannalaugar

Snaefells

Gullfoss

Laguna blu

F35 Kjolur

Fiordi occidentali

Godafoss

Pingvellir

Far Oer

Geyser

Dettifoss

Asbirgi

Latrabjarg

Whale-watching

Lago Myvatn

Jokulsarlon

Krafla

Siglufjordur

Vatnajokull

Siglufjordur

Francesco e Daniela Bini
bini.pisa@tin.it

Lascia un commento